"Cominciando a capire
il mondo attraverso
l'immagine, capivo
l'immagine, la sua
forza, il suo
mistero."

- Michelangelo Antonioni

Michelangelo Antonioni
La vita

La formazione

Michelangelo Antonioni nasce a Ferrara il 29 settembre 1912 da una famiglia appartenente alla media borghesia.

Terminati gli studi superiori, si iscrive all’Università di Bologna, dove consegue la laurea in Economia e commercio. Durante questo periodo mette in scena alcuni lavori teatrali per una compagnia studentesca e frequenta un cenacolo letterario animato dal futuro accademico Lanfranco Caretti e dal giovane Giorgio Bassani, con il quale condivide la passione per il tennis. Il suo primo rapporto professionale con il cinema avviene nel campo della critica, come attestano le recensioni di film italiani e stranieri pubblicate con continuità fra il 1936 e il 1940 sul «Corriere Padano», importante quotidiano di informazione culturale fondato da Italo Balbo nel 1925.

Nel 1940 si trasferisce a Roma, dove frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia e inizia a collaborare con la prestigiosa rivista «Cinema», su cui pubblica l’articolo Per un film sul fiume Po, che lascia presagire un suo prossimo esordio dietro la cinepresa. Durante un breve soggiorno in Francia svolge l’incarico di assistente del regista Marcel Carné per il film Les visiteurs du soir (1942), ma è costretto a rimpatriare a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Nel 1943 ritorna a Ferrara, dove Luchino Visconti sta girando Ossessione, per iniziare le riprese del suo primo cortometraggio, il documentario Gente del Po, che deve essere interrotto per il precipitare degli eventi bellici e vedrà la luce soltanto nel 1947.

Del periodo giovanile l’archivio conserva la racchetta di Antonioni, un foglio con i risultati di un torneo vinto in data imprecisata presso il Tennis Club Marfisa e una copia con dedica della raccolta di racconti Una città di pianura (1940), opera prima di Bassani pubblicata con lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Risale inoltre all’epoca delle collaborazioni giornalistiche una parte delle cartoline raffiguranti dive e dive del cinema collezionate dal regista nel corso degli anni.

I primi documentari e l’esordio nel lungometraggio

Come molti registi esordienti, nel dopoguerra, Antonioni si fa le ossa nel documentario dirigendo alcuni cortometraggi, tra cui spiccano N.U. Nettezza urbana (1948) e L’amorosa menzogna (1949), prima di cimentarsi con il lungometraggio di finzione (Cronaca di un amore, 1950). Nonostante la presenza dell’attore Massimo Girotti e la scelta di un intreccio incentrato sul tema della coppia criminale costituiscano un esplicito omaggio al Visconti di Ossessione, è già evidente in questo film d’esordio una presa di distanza dalla tradizione neorealista, riscontrabile nella scelta di un’ambientazione alto-borghese, nella geometrizzazione dello spazio e nel ricorso a tecniche di ripresa elaborate come il piano-sequenza.

 

Dopo la disavventura produttiva e censoria del trittico sulla criminalità giovanile I vinti (1952) e l’insuccesso del dramma di ambientazione cinematografica La signora senza camelie (1953), la poetica antonioniana inizia a precisarsi con Le amiche (1955), adattamento del romanzo di Cesare Pavese Tra donne sole (1949), e soprattutto nel Grido (1957), road movie di ambientazione padana il cui cupo pessimismo riflette anche lo stato d’animo del regista, reduce da una dolorosa separazione dalla prima moglie Letizia Balboni. Opera cardine nella sua filmografia, la pellicola si discosta ancor più radicalmente dalla poetica neorealista per la scelta “scandalosa” di porre al centro del racconto la crisi esistenziale e psicologica di un operaio, ignorando volutamente la dimensione socio-politica. La nozione di “neorealismo interiore”, coniata dalla critica francese alla fine degli anni ’50 a proposito del Grido e fatta propria dallo stesso regista («Mi è sembrato che fosse importante non tanto esaminare i rapporti fra personaggio e ambiente, quanto fermarsi sul personaggio, entrare dentro il personaggio»), esprime bene questo rapporto complesso e contraddittorio con la tendenza dominante del cinema italiano postbellico. Inoltre nel film la dissoluzione della narrazione classica, a cui ancora si assoggettavano i precedenti lavori, procede di pari passo con un incremento dell’importanza del paesaggio, che in alcune sequenze tende ad acquistare una forte autonomia, anticipando le opere del decennio successivo.

La tetralogia

L’avventura (1959), primo capitolo di una tetralogia proseguita con La notte (1960), L’eclisse (1962) e Il deserto rosso (1964), segna l’inizio del sodalizio professionale e privato con l’attrice Monica Vitti e inaugura il periodo più maturo della carriera di Antonioni. Concentrando l’attenzione sulle dinamiche amorose fra personaggi di estrazione borghese negli anni del miracolo economico, questi film registrano programmaticamente gli effetti della modernizzazione e della crisi dei valori tradizionali sui rapporti interpersonali, in particolare sulla coppia. I loro protagonisti, dominati dalle pulsioni del momento, inclini all’infedeltà coniugale e psicologicamente instabili (fino alla malattia mentale vera e propria, come nel caso del Deserto rosso), sono affetti da quella che il regista ha definito la “malattia dei sentimenti”. Sul piano narrativo, Antonioni si allontana ulteriormente dalle strutture tradizionali dell’intreccio «per mostrarci una serie di eventi privi di nessi drammatici, un racconto in cui non succede nulla, o succedono cose che non hanno più l’apparenza di un fatto narrato, ma di un fatto accaduto per caso» (Umberto Eco). I lunghi episodi digressivi (per esempio la passeggiata di Lidia per le vie di Milano nella Notte), la scomparsa inspiegabile di alcuni personaggi (Anna nell’Avventura) e i finali sospesi (come quello dell’Eclisse) danno luogo a una narrazione aperta di sapore modernista accostata dalla critica alle avanguardie letterarie dell’epoca. Al pari di altri esponenti del cinema italiano postbellico, il regista rifiuta le soluzioni formali troppo elaborate in nome di un’esigenza di sobrietà e concisione ereditata dalla tradizione neorealista («Sento il bisogno di essere asciutto, di dire le cose il meno possibile, di usare i mezzi più semplici e il minor numero di mezzi»).

Tuttavia, la composizione estremamente studiata dell’inquadratura, i frequenti riferimenti alle arti visive (dalla pittura informale alle nature morte di Giorgio Morandi, passando per il modernismo architettonico) e la retorica mimico-gestuale dei personaggi femminili conferiscono ai film della tetralogia un carattere stilizzato e artificioso, rivelando una «visione formalistica del mondo» (Pier Paolo Pasolini) che si manifesta pienamente nel suo primo film a colori, Il deserto rosso, dove il regista arriva a ridipingere parte delle location (gli oggetti, le pareti delle case e perfino gli alberi di un bosco) in funzione delle riprese.

Il periodo internazionale

Nella seconda metà degli anni ’60 la fine del sodalizio con Monica Vitti segna per Antonioni l’inizio di una nuova stagione creativa, caratterizzata dall’abbandono dei personaggi e degli ambienti italiani tipici della produzione precedente e dalla scelta di location straniere: la Londra di Blow Up (1966), gli Stati Uniti di Zabriskie Point (1970), la Spagna, il Nord Africa, la Germania e l’Inghilterra di Professione: reporter (1975), il più internazionale dei suoi film. L’occasione è un contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer e con il produttore Carlo Ponti che gli consente di disporre di budget più elevati che in passato e di avvalersi di attori britannici e statunitensi come David Hemmings, Vanessa Redgrave o Jack Nicholson.

Se il ciclo precedente privilegiava nettamente le figure femminili, ora l’attenzione si concentra sulle disavventure di un personaggio maschile, colto in un momento di crisi e di disorientamento: un fotografo di moda che vede le proprie certezze sulla realtà e sull’immagine sgretolarsi a poco a poco; uno studente universitario accusato dell’uccisione di un agente che sfugge alla cattura a bordo un piccolo aereo; un reporter insoddisfatto e depresso che assume l’identità di un morto e finisce per essere ucciso. Questa nuova trilogia è accomunata alle opere precedenti dalla presenza del paesaggio, che diviene preponderante in Zabriskie Point e in Professione: reporter. Al tempo stesso Antonioni rinnova e “internazionalizza” il proprio stile attraverso l’incontro con la controcultura giovanile anglosassone di fine anni ’60, verso cui prova una forte fascinazione. Così Blow Up deve parte del suo successo all’avere immortalato il clima della Swinging London, di cui offre attraverso la moda, la musica e le arti visive una delle testimonianze cinematografiche più accattivanti; mentre Zabriskie Point riecheggia Easy Rider (1969) nell’uso di brani rock come colonna sonora, realizzando in qualche modo un compromesso fra l’estetica della New Hollywood e il formalismo antonioniano. Un posto a parte occupa il lungo reportage prodotto dalla RAI Chung Kuo, Cina (1972), che costituisce il lavoro più impegnativo del regista nell’ambito del documentario. Inizialmente incoraggiato dal governo comunista, che per la prima volta consentiva l’accesso nel paese a una troupe occidentale, il film fu messo al bando dalle autorità per il suo presunto contenuto “anti-cinese”.

La malattia e la forzata inattività

La conclusione del rapporto con la MGM segna l’inizio di una lunga assenza dagli schermi, durante la quale Antonioni si dedica alla letteratura, scrivendo le short stories della raccolta Quel bowling sul Tevere (1983), e alle arti visive, continuando a lavorare alle Montagne incantate, paesaggi quasi astratti realizzati con tecniche miste e poi fotografati e ingranditi che verranno esposti a Venezia nel 1983.

Il primo lavoro apparso dopo il periodo di silenzio, Il mistero di Oberwald (1980), è un film sperimentale prodotto dalla RAI e girato interamente su nastro magnetico che stupisce la critica per l’assenza degli ambienti contemporanei tipici delle opere precedenti (tratto dal dramma L’aquila a due teste di Cocteau, è infatti il suo unico film in costume).

Molto apprezzato in Francia, Identificazione di una donna (1982) segna invece il ritorno a situazioni più consone alla poetica antonioniana. Se infatti l’ambientazione italiana ci riporta ai capolavori dei primi anni ‘60, la centralità del protagonista maschile, un regista cinematografico in crisi, lo accomuna di più a Blow Up e a Professione: reporter. Del tutto inedita è invece l’importanza attribuita all’erotismo, assai più esplicito che nelle opere precedenti. Nel 1985, mentre sta lavorando a diversi soggetti, tra cui un film intitolato La ciurma, Antonioni viene colto da un ictus cerebrale che lo lascia parzialmente paralizzato e lo priva della parola, interrompendo la sua carriera. Lo stesso anno il regista sposa Enrica Fico, già da tempo legata a lui sentimentalmente. Dopo un intero decennio di quasi totale inattività e in concomitanza con l’assegnazione dell’Oscar alla carriera, Antonioni tornerà dietro alla macchina da presa per dirigere il suo ultimo lungometraggio, Al di là delle nuvole (1995). Girato parzialmente a Ferrara con la collaborazione del collega tedesco Wim Wenders, il film è tratto da alcuni racconti di Quel bowling sul Tevere incentrati sul tema consueto della coppia. La centralità dell’erotismo – riscontrabile qui nell’attenzione con cui la cinepresa indugia sui corpi dei giovani interpreti – si conferma come un tratto distintivo delle opere della tarda maturità del regista, collegando Al di là delle nuvole al precedente Identificazione di una donna e al successivo Il filo pericoloso delle cose, episodio di un film collettivo intitolato significativamente Eros (2004), con cui si conclude la sua carriera. Antonioni morirà il 30 luglio 2007 nella sua casa romana.

I film