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Sinossi: Deserto rosso (1964)
Epilogo dell’ideale tetralogia inaugurata dall’:Avventura e ultimo frutto del sodalizio con Monica Vitti, Il deserto rosso è anche il primo film di Antonioni realizzato a colori. Una scelta audace in un contesto – quello del cinema d’autore italiano – in cui tale tecnologia era stata fino a quel momento accolta con sospetto proprio per l’artificiosità delle soluzioni cromatiche allora disponibili. Il film del regista ferrarese viene realizzato in una fase in cui, come scrive Federico Pierotti, il processo di “naturalizzazione” del colore è ormai compiuto e sono disponibili tonalità più realistiche e meno squillanti di quelle in uso nel decennio precedente. Tuttavia Antonioni decide di utilizzare le potenzialità del sistema Eastmancolor in maniera antinaturalistica, andando a intervenire artificialmente sui colori di oggetti e scenografie. Lo scopo è duplice: riprodurre lo shock visivo determinato dal diffondersi, negli anni del boom economico, dei nuovi colori della plastica e del design industriale, presenti nei luoghi di lavoro così come negli interni dell’alta borghesia; ma anche rendere visibili le nevrosi della protagonista Giuliana, una donna fragile che non sembra riuscire ad adattarsi al mondo freddo, innaturale e sostanzialmente alieno che la circonda. I numerosi appunti legati al film presenti nell’archivio recano le tracce di una gestazione lunga e travagliata, iniziata in parallelo alla lavorazione dell’Eclisse. Tra di essi spicca una versione alternativa della favola raccontata da Giuliana al figlioletto che si finge malato, incentrata su di un aquilone che si innalza fino a uscire dall’atmosfera. Scartato dalla versione definitiva della sceneggiatura, il brano costituirà la base del soggetto del film L’aquilone, che il regista tenterà senza successo di realizzare in Uzbekistan a metà degli anni Settanta e del quale pubblicherà la sceneggiatura, scritta insieme a Tonino Guerra, nel 1982.