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Lucia Bosè

Se negli anni Sessanta Monica Vitti è la donna per eccellenza del cinema antonioniano, spetta invece a Lucia Bosè l’indiscusso titolo di musa ispiratrice del decennio precedente.

Due infatti i ruoli da protagonista che l’autore, agli inizi della carriera, affida alla bellissima attrice milanese: quello della conturbante femme fatale nel lungometraggio d’esordio Cronaca di un amore (1950) e quello della mediocre starlet del successivo La signora senza camelie (1953). Due ruoli certo antitetici, ma che in ogni caso confermano l’interesse di Antonioni per l’interiorità femminile.

Diversamente dalla Vitti, Lucia Bosè arriva al grande schermo priva di una vera formazione. Notata da Luchino Visconti ancora adolescente quando lavora in una pasticceria di Milano, conquisterà la fascia di Miss Italia nel 1947, battendo concorrenti del calibro di Gina Lollobrigida e Silvana Mangano. Dopo una parte importante in Non c’è pace tra gli ulivi (1950) di Giuseppe De Santis, Antonioni la sceglie per interpretare l’amorale ma irresistibile Paola in Cronaca di un amore. Come dimostra una lettera al regista (9B/2, fasc. 136), la giovanissima attrice oppone alla mancanza di preparazione una chiara fiducia nel proprio fascino. In effetti, la naturale avvenenza di Bosè si sposa perfettamente con la pretenziosa eleganza del suo personaggio, rendendola così credibile nei panni di una donna ben più matura e altolocata. Analogamente a quanto avverrà con Le amiche (1955), già in quest’opera prima l’abbigliamento haute couture è centrale nella definizione di una femminilità scissa fra desiderio e obbligo sociale. Dissidio, questo, a cui pare alludere un disegno dell’autore raffigurante (su ambo i lati) Paola nel vaporoso abito da sera del finale, quando si infrangerà il sogno d’amore con lo spiantato Guido (Massimo Girotti). In questo schizzo a china, l’opulenza del vestito contrasta vivamente con l’atteggiamento di scorato abbandono del corpo (inv. 4921).

Ispirato all’ascesa divistica di Gina Lollobrigida, La signora senza camelie è un amaro affresco sul mondo del cinema. Clara Manni è la vittima designata di un’industria che con la stessa rapidità promuove e distrugge stelline senza talento. Consultando i documenti del fondo, si può misurare la distanza delle reazioni suscitate dall’interpretazione dell’attrice. Se per Attilio Bertolucci Bosè non è convincente come ingenuo sex symbol, Gian Luigi Rondi coglie, invece, nella sua performance il «chiuso tormento della donna che lotta per uscire dal personaggio», arrivando perfino ad accostarla a «certe disperanti figure pirandelliane» (album 3, La signora senza camelie).

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